Le degustazioni
29th Mar 2013Posted in: Le degustazioni Commenti disabilitati su Tasca d’Almerita: il vino della ‘Casa di Ali’
Tasca d’Almerita: il vino della ‘Casa di Ali’

Dal felice incontro qui realizzato tra schietta sicilianità e sagace apertura al nuovo e al moderno sono scaturiti risultati che hanno fatto grande l’enologia isolana in tutto il mondo. Dal 1830 – quando i conti Tasca acquistarono l’ex feudo di Regaleali, nelle campagne di Sclafani a sud  di Palermo – agli anni dell’impegno pioneristico nella valorizzazione dei vitigni autoctoni e poi nel collaudo delle uve “straniere”, fino ai giorni nostri contrassegnati da vivace spirito imprenditoriale, inalterabile successo di pubblico e vini pluridecorati dalla critica, quella dell’azienda Tasca d’Almerita è la storia di una grande famiglia innamorata della sua terra e decisa a testimoniarne il cospicuo potenziale enoico, in sapiente equilibrio tra tradizione e respiro internazionale, per proclamare con orgoglio la propria identità.

Oggi assieme al padre Lucio ci sono Giuseppe e Alberto Tasca d’Almerita, l’ottava generazione di famiglia, alla guida di questa ottima realtà, da sempre totalmente vocata alla ricerca dell’eccellenza qualitativa e alla sperimentazione che significa, in sostanza, mettersi continuamente in discussione. Sono loro adesso a portare avanti tanti nuovi progetti con grinta, passione, rigore e duro lavoro, il che non esclude sano entusiasmo e divertimento. E curano a dovere, assistiti da un pool di manager agricoli ed enologi, vigne dislocate in cinque straordinari siti della Trinacria tra cui quello alle pendici dell’Etna coltivato a Nerello Mascalese e la tenuta di Capofaro sull’isola di Salina, dove la produzione di una affascinante Malvasia delle Lipari si combina all’ospitalità esclusiva, ma calorosa, in uno dei resort più belli e lussuosi del Mediterraneo.

Ma il cuore pulsante resta la magnifica verdeggiante Tenuta di Regaleali con le sue “benedette” colline che ospitano 400 ettari di impagabili vigneti nei quali le uve indigene, come Catarratto e Perricone, convivono con decine e decine di varietà provenienti da tutto il mondo, in linea con una congenita spinta all’innovazione e alla tutela della biodiversità e dell’ambiente, atteggiamento naturale per un’azienda che ha fatto della sostenibilità assoluta uno dei cardini della sua filosofia. Proprio a Regaleali hanno visto la luce fuoriclasse che hanno aperto la strada ad un nuovo modo di fare vino in Sicilia, vedi il Rosso del Conte nato a fine anni ’60, il primo Nero d’Avola concepito per essere un grande rosso, o i Cabernet Sauvignon e Chardonnay che continuano a portare l’animo siciliano nei cinque continenti. E ancora a Regalaeali sta prendendo forma il domani della storica cantina siciliana grazie a nuovi vini come il bianco Antisa, un puro e tipico Catarratto coltivato in alta collina, bel binomio di profumi e delicatezza, fermentato senza aggiunta di anidride solforosa per andare incontro a chi non la “tollera”.

Un posto speciale nell’ampia gamma aziendale spetta al vino per antonomasia della Tenuta, da ben 53 vendemmie il suo più eloquente ambasciatore nel mondo, molto popolare (persino nei cruciverba della Settimana Enigmistica si trova la sua definizione “ottimo vino siciliano”): il Regaleali Bianco, tris di autoctoni (Grecanico, Catarratto, Inzolia) con piccolo saldo di Chardonnay affinato in acciaio e pieno di personalità. Inconfondibile nella sua bottiglia renana (fregiata negli ultimi anni da un’etichetta originale e molto naive ripresa da quella delle origini), presenta un bel colore giallo brillante e seduce il naso con un bouquet fragrante ma vivido di frutta, mela, pera, pesca e agrumi. In bocca è morbido, ricco, intenso, piacevolmente fresco. Un classico made in Sicilia sempre, e a buon diritto, sulla breccia.

LA CUCINA BAROCCA DI CICCIO SULTANO

È grande il fascino di Ragusa Ibla, storico fulcro della città siciliana, dei suoi palazzi, delle sue chiese, del suo dedalo di viuzze convergenti nella piazza del Duomo, adorna di tutta la magnificenza del barocco isolano che stupisce al primo impatto e poi cattura sensi e mente con tanta bellezza e classe. Succede così anche con la cucina del ristorante Duomo, che a due passi dalla cattedrale offre un ambiente accogliente e raffinato senza sfarzi, curatissimo in ogni particolare, con cantina assolutamente completa.

Una cucina territoriale di eccellenza, amalgama perfetto di sperimentazione e tradizione siciliana, che ha voluto svincolare l’immagine della Sicilia da vieti stereotipi, tipo pupi e carretti, e dimostrare che la cultura gastronomica regionale è molto più che cannoli e caponata. E una cucina intimamente barocca, intrigante ed esuberante al pari del suo artefice, Ciccio Sultano, chef ragusano geniale e preparato, un vero vulcano di idee e due meritatissime stelle Michelin. Per lui creare un piatto è come cimentarsi in una jam session improvvisando musica jazz: puoi farlo mille volte, dice Ciccio, ma ogni volta rispecchierà emozioni e umori di quel momento.

Piatti, i suoi, complessi e ridondanti, basati sull’addizione anziché sulla sottrazione, giocati su inusuali combinazioni delle materie prime (rigorosamente genuine e di primissima qualità) e accostamenti di sapori imprevedibili, ma alla fine lineari per l’equilibrio di tutti i loro ingredienti. Di qui un repertorio comunque goloso, fatto di prelibati antipasti, primi e secondi superlativi e belli alla vista – tra questi, spaghetti con bottarga di tonno “abbuttunati”, gnocchi farciti di formaggio Ragusano Dop con salsa di carbonara e guazzetto di vongole e cozze e il tenerissimo maialino nero dei Nebrodi con salse di loto e carrubo, un must di Ciccio Sultano – oltre a dolci squisiti. In abbinamento al Regaleali Bianco lo chef siciliano ha scelto un suo favoloso antipasto, la triglia rossa di scoglio “a pisci d’uovo”, spennellata di seppia al carbone e crema di finocchietto selvatico,  accostata  alla tradizionale polpetta di  finto pesce fatta con l’uovo (che lo surrogava sulle tavole più povere) e sormontata dalla propria lisca croccante, il tutto servito con zuppa di salmoriglio.

 
© pubblicato su “Mondo Agricolo”, marzo 2013

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